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1. L'episodio pilota (Pilot)


E' così.

Voi non mi conoscete, nessuno mi conosce.

Non è detto che qualcuno mi conoscerà mai un giorno, e con questo "qualcuno" includo ovviamente anche me stessa.

Però a me piace scrivere, o meglio avere delle idee, delle mie idee.

Idee non banali, originali, creative, ambiziose se non artistiche, in cui mi posso riconoscere.

Ma come ho già detto, nessuno mi conosce, dunque non può nemmeno riconoscermi.

Tuttavia ci provo...

Se un libro può essere condensato in un lungometraggio, allora si può concepire un blog (anche se non dovrei avere la presunzione di chiamarla così questa cosa che sto inziando adesso e non so nemmeno se porterò avanti) in termini telefilmistici: e quindi il post di prima era la puntata zero (come quelle di Game of Thrones, in cui presentano il making of della stagion.. Ah ok, vero, quel genere di puntata la vediamo solo io e i traduttori dei sottotitoli) e questo è l'episodio pilota.

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Tranquilli, anche io fino ai 18 anni non sapevo cosa fosse un episodio pilota (ho iniziato tardi con la visione dei telefilm in streaming).

Un episodio pilota, o "pilot", è la prima puntata di un telefilm che viene girata ovviamente per prima e mandata in diretta così, da sola, ad affrontare le critiche dei telespettatori per valutare se continuare o meno il progetto partito da un'idea, per esempio quella di un pazzo che crede che un cinquantenne professore di chimica a cui è stato diagnosticato un cancro possa risultare appetibile in mutande ad un pubblico più vasto di quello composto dai suoi quattro amici della bocciofila. A quanto pare un certo Vince ci è riuscito quindi forse ce la posso fare anche io.

Annuncio ufficialmente che questo è l'episodio pilota del blog di Paola Poloni.

Applausi di incoraggiamento, prego.

Devo quindi inserire un primo argomento da affrontare... Ecco, ce l'ho!

Io non seguo molto di quello che comunemente viene definito "social", questa specie di malattia che sta invadendo la Terra. Ci provo, in maniera anche abbastanza riluttante, lo devo ammettere, ma ci provo. E non ci riesco.

Ma soprattutto non capisco questa mania di dover commentare tutto.

Premettendo che io sono una grande sostenitrice del libero arbitrio e dello scambio di opinioni, credo che quello che si stia facendo adesso non abbia lo stesso iter di una volta, ovvero:

1. prendere visione di una cosa

2. approvare o disapprovare

3. dare la propria opinione

Ma piuttosto:

1. prendere visione del fatto che tutti parlano di una certa cosa

2. pensare "cribbio, devo assolutamente partecipare alla discussione a riguardo"

3. (spero) prendere visione di quella data cosa

4. dare un'opinione, non importa se la propria o quella di qualcun'altro

Questo discorso lo hanno già fatto in tanti sulla Rete da quel che so e non voglio seguirli per poi fare la fine di quelli che effettivamente sto criticando.

Vorrei solo dire che mi dispiace vedere come chi non partecipa a questo gioco sia ghettizzato.

"Tu non vuoi far sapere al mondo intero cosa ne pensi sull'argomento, sei strano!"

"Tu che non vuoi proprio saperne niente dell'argomento e non hai bisogno di comunicarlo al mondo, beh, sei ancora più strano!"

Non posso pensare di convincere la gente a pensarla in questo modo o a smettere di fare quello che vuole. Tuttavia, mi piacerebbe essere un'alternativa a tutto questo, senza condanne né pressioni.

Ma non è facile.

Gli strumenti che abbiamo a disposizione oggi sembrano più limitarci che farci aprire al mondo e finiscono sempre e comunque per distrarci. Distrarci dalla vita, a volte facendoci dimenticare del fatto che ne stiamo vivendo una tutta nostra.

Vorrei smettere di interessarmi degli affari altrui ma quando cerco di evitare che mi vengano sbattuti in faccia, arriva subito qualcuno che mi chiede di tornare a farlo, altrimenti sarò esclusa dalla società tutta.

E poi mi sono stufata di dover guardare da lontano e giudicare, sempre da lontano.

Mi chiedo, quelli che criticano un accadimento o una dichiarazione di matrice politica, tutti questi, dai simpatizzanti ai detrattori, dagli estremisti ai tolleranti, poi scendono in piazza? Chiedono poi qualcosa di concreto a riguardo? Asserirete anche voi, come me, che le pantofole sono così comode che non vorremmo staccarcene mai, soprattutto in occasioni come queste.

Ed ecco qui che la critica rimane solo una critica. Passeggera, volatile, viene dimenticata in meno di 10 secondi a volte.

Capisco lo sfogo, anche il mio, in questo momento, è uno sfogo, ma non si può sempre fare così.

Si deve CREARE. Sì, è un dovere. Lo dico anche a me stessa che produco così poco ultimamente e quel poco non lo ritengo così di valore.

Bisogna costringersi a dare questo valore alle cose che facciamo, che plasmiamo con la nostra mente e che vediamo realizzarsi in concreto davanti a noi.

Partiamo dalle cose piccole. Io sto predendo la patente in questo periodo.

Faccio schifo a guidare e sapete perché? Un po' per il fatto che ho guidato solo 4 volte nella mia vita ma una considerevole parte della colpa la do al mio farmi costantemente problemi.

Sono convinta ad esempio di essere, rispetto al pensare comune, in ritardo su molte cose. E pensando di essere in ritardo rallento ancora di più il mio percorso nella vita.

Dovrei essere soddisfatta di avere una laurea, di star facendo un percorso formativo, di avere una famiglia sgangherata ma più o meno di supporto al mio futuro, di avere dei sogni, e invece penso di essere improduttiva. E tutto questo a causa di Facebook e dei suoi utenti!

Per una volta critichiamo per costruire, postiamo qualcosa per far accrescere la meraviglia di questo mondo, non per far sì che si ripeta ancora e ancora e ancora.

E non guardiamo solo noi stessi: la collaborazione genera mostri di creatività.

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